Il (non-male) caos di optometria e ottica

G. studia in un corso di laurea di ottica e optometria ma adesso è confusa. Si trova tra “l’incudine” del collega nel negozio che le dice che le forie "nessuno le valuta". E il martello dei messaggi che le dicono che ora alla fine del suo corso di laurea in Scienze e tecnologie fisiche sarà "professione sanitaria". Qualche altro colpo arriva anche dai lati: famiglia e amici che non capiscono bene cosa stia studiando. E sullo sfondo la domanda: perché dovrebbero venire a farsi vedere da te, quando potrebbero andare da un medico? E la confusione è ovvia: lo studio di tutte queste materie e tecniche è un impegno, ma per cosa?

Una risposta mi viene ovvia, e forse basterebbe: perché dà buone opportunità di impiego, e una buona autonomia, e buone prospettive (Carreer cast mette gli ottici al 22° posto e gli optometristi all’8°, per niente male; realtà USA di riferimento, ma analogie anche in UE).

Sì, è vero, in Italia c’è un po’ di caos normativo (tante leggi vecchie e mal incastrate, faticose da capire); ma chi sa scegliere e fare occhiali e lenti rimane richiesto. E poiché "nella foresta sono a loro agio solo gli indigeni" (come dice A., presidente di un’associazione), in questo contesto noi italiani ci sappiamo muovere. E se da un lato il caos ha inibito l’apertura dell’Italia alle grandi dinamiche globali, dall'altro si può pensare ci abbia un po’ protetto dalla diffusione di grandi catene o di grandi multinazionali. Tuttalpiù, in Italia, l’iniziativa imprenditoriale viene strangolata in loco, tra concittadini...

Tento di spiegare a G. che ormai la giurisprudenza ha ribadito che tante nuove professioni sono difficili da incasellare. E una legge (4/2013) ha fornito un vero inquadramento per tanti professionisti che non sono i consueti avvocati, medici o ingegneri. Inoltre, l’Antitrust (qualche tempo fa) aveva sancito che altri ordini non servono, anzi limitano l’accesso dei giovani alle professioni e realmente non controllano (ma poi ne hanno istituiti un bel gruppo, con la legge “Lorenzin” e ci sono vari problemi ancora da risolvere). 

Cito chi studia robotica o biotecnologie o enologia o, tante altre professioni da precisare; cito i tanti lavori che lo stato non regolamenta ma che le persone sanno fare e sono ben richiesti e apprezzati. Ma il tarlo tutto italiano del “titolo", della “norma" rode comunque. G non ha ancora l’esperienza di quanto arbitrio ci sia dietro le norme e regole, e di quante differenze si celino dietro lo stesso titolo e, infine, della necessità di dare il proprio contributo originale. Sembra che ogni persona debba trovare un proprio posto esatto e standard, come le forme che si inseriscono nella giusta sede. Fa disordine una forma diversa, insolita (e pensare che agli inizi tanti scelgono ottica e optometria perché sono originali, non i soliti percorsi di studio). Nemmeno appare l’idea che l’innovazione procede così: creando qualcosa di nuovo.

Ma non basta. Vorrebbe essere convinta e se possibile esaltata nella sua scelta. Potrei dire che è un bell’ambito. Si lavora con le persone e le si aiuta, non poco. Ma chissà se ci riesco...

Poi leggo che il premio Nobel Yunus spinge i giovani a essere creativi e fare impresa. E dice anche che è necessario per la pace nel mondo tutto. E allora mi sento un po’ più in compagnia per spingere G a fare qualcosa di nuovo.

Nobel pace Yunus Ai giovani fate gli imprenditori


©Anto Rossetti